Nell’antichità i celtiberi, ovvero i celti che vivevano in Iberia, usavano l’urina per lavarsi il corpo e i denti. O almeno, questo è ciò che sostenevano diversi autori greci e romani, come lo storico Diodoro Siculo: «Anche se sono attenti e puri nel loro stile di vita, praticano un’operazione rozza che comporta un’elevata impurità. Infatti fanno il bagno nell’urina e con essa si lavano i denti, ritenendo che questo sia un buon modo di curare il corpo».

Un’altra fonte è il poeta latino Catullo, che non ci andò per il sottile criticando con versi taglienti il rivale d’amore Egnazio: «Ora, tu sei celtibero: nella vostra terra la mattina ci si strofina i denti e le gengive rosse con il piscio, così che quanto più risplende il dente, tanto più è certo che hai bevuto urina».
I romani, per quanto ne sappiamo, non usavano l’urina come “dentifricio”, ma la sfruttavano per altri scopi di vario genere. I “fullones”, per esempio, erano coloro che lavavano i vestiti e nel processo di pulizia si servivano spesso dell’urina, che veniva raccolta nelle latrine pubbliche e in vasi posti lungo le strade per essere poi portata nelle lavanderie.
Altri utilizzi sono citati dall’agronomo Columella, che consigliò l’urina come fertilizzante, e dall’erudito Plinio il Vecchio, che esaltò le sue presunte proprietà mediche: «Quella dei fanciulli che non hanno ancora raggiunto la pubertà è un rimedio contro il veleno dell’aspide (…) e va bene contro l’albugine degli occhi, gli annebbiamenti, le cicatrici (…). Quella maschile cura anche la gotta come testimoniano i fullones, che dicono di non essere colpiti da questo male».